DANS L’EAU SALE. Ritratti d’artista
MAX TOMASINELLI

OPENING MERCOLEDì 25 SETTEMBRE 2019
FINO Al 26 OTTOBRE 2019

 
 

Dans l’eau sale

AGNESE LO VECCHIO

Quello che accade oggi è già avvenuto, probabilmente sotto forme differenti, ma è già accaduto. Mi riferisco al gesto performativo con lui l’artista esplora, si immerge e indugia, rendendo infine autentica l’immagine della propria opera.  

Maggiormente qui che altrove, la fotografia trancia all’improvviso altre possibilità: con una sola scelta, si assume la responsabilità che dal passato al presente, quella restituisca ugual valore, nonostante la scomoda posizione in bilico tra nuova cultura visuale e consuetudine stilistica.

Lontano dalle gittate corte della likeability, destinata come ogni moda ad affievolirsi, Max Tomasinelli si concentra da oltre dieci anni su un progetto che fa di mimesis e comunità il collante delle sue fotografie, oltre la sua fortuna in termini di conoscenza e verità. Sì, perché Max fa come Teju Cole in Città aperta: «Arrivò al telefono e disse, Pronto, chi parla? Oh, certo, come sta, ma mi scusi, mi ripeta dove ci siamo conosciuti. Glielo ricordai. Ah sì, certo. Rimane in Belgio per un mese, tre settimane, giusto? Quando parte? Ah, così presto. Be’, perché non mi chiama lunedì, possiamo uscire a cena o vederci prima della sua partenza».

Ed ecco che, grazie ad un numero telefonico, una mail o un incontro casuale, Max prende appuntamenti con gli artisti per fotografarli, oltre che conoscerli, e con l’intenzione di sapere come vivono, cosa pensano, come si esprimono, chi sono.

Più volte rimandati o annullati e persino velocemente interrotti, tutti gli incontri conservano sempre un paradosso, legato alla fotografia in quanto strumento. Ma tant’è: la posa, cioè, l’immobilità richiesta e l’impossibilità di rimanere completamente fermi, l’imbarazzo di essere osservati e l’inconveniente sensazione di sentirsi oggetto.

Farsi fotografare equivale a produrre un’immagine di se stessi che in potenza rivela ciò che in atto siamo già, al di là della resa. Che sia asettica, distaccata ed oggettiva oppure intima, accesa e soggettiva, Max ubbidisce alla regola di non agire “sulla fotografia”, modificandola o rinnovandone il linguaggio. Ma “con la fotografia” studia il legame che stretto unisce l’immagine di sé alla propria personalità e dunque ai luoghi di appartenenza. In questo senso, la posa è già di per sé fotografia, nella misura in cui dimostra tramite l’apparenza, un seme d’identità. Formulate le proprie associazioni tra un ritratto fotografico e l’altro, percepito un angolo o un solo dettaglio delle cose, Max rimpicciolisce o ingrandisce il formato delle proprie opere come se usasse uno zoom fotografico che impone un certo ritmo. O una certa necessaria stabilità all’interno di una vasca.

Il titolo dell’esposizione richiama chiaramente una fotografia scattata da Max nel 2007 sulle colline di Nizza, presso l’atelier spettinato di Ben Vautier. Sulla vasca in cui è immerso, l’artista francese scrive «On est tous dans l’eau sale de la bagnoire de Marcel». Una dichiarazione vera, se qualsiasi affermazione dopo Duchamp ha messo in discussione l’idea stessa di ciò che è e ciò che fa un’opera d’arte (e quindi un artista). Persistono allora gli interrogativi sulle nozioni di originalità, aura, progresso, capolavoro e autorialità che minacciano di destabilizzare i pilastri su cui la storia dell’arte stessa è costruita.

Al più audace, il compito di sollevare il tappo della tinozza.