NON CHIEDERE
GIOACCHINO PONTRELLI

OPENING GIOVEDì 8 marzo 2018
FINO Al 26 maggio 2018

 
 
 
 

Non risolto, svolto

francesco ventrella

Per anni mi sono lambiccato il cervello per trovare il senso di una dichiarazione di Agnes Martin: “Finché non riesci a svuotare la tua vera identità rimarrai legato alla ripetizione di questa vita”. Ho fatto fatica fino a quando una mattina mi sono ritrovato da solo nella sala vuota di un museo con quattro delle sue griglie. Ho sempre pensato che quella frase significasse per lei che la pittura rappresenta una pratica attraverso la quale il pittore o la pittrice fanno un vuoto per creare uno spazio. Non mi sorprendeva il fatto che un’artista come lei, interessata alla filosofia Zen, scegliesse dunque la griglia. Questo discorso non faceva una piega per lo storico dell’arte. Ciò che non riuscivo a capire, però, era il fatto che in quella dichiarazione l’artista non identificasse il legame della ripetizione con il suo lavoro che, da un punto di vista formale, avrebbe avuto senso. Piuttosto, la ripetizione si trovava dall’altro lato, quello da cui lei si cercava di liberare. Ma quella mattina ho capito che la griglia di Martin non era solamente la cifra della ripetizione minimalista. Al contrario, era la liberazione dalla ripetizione. Così ho imparato da Agnes Martin che la pittura può essere un esercizio che non va risolto, ma svolto. Gli esercizi sono pratiche che trasformano, pratiche attraverso le quali si subiscono dei cambiamenti. Il fine proprio dell’esercizio è quello di alterare chi lo pratica. La griglia di Martin conteneva delle intensità, delle energie, delle risonanze potenti che non mi sarei aspettato di trovare. E lei era là, al centro di uno spazio che la rendeva completamente invisibile.

La pittura è opaca. Non perché, nel suo essere opaca, la pittura deve essere per forza difficile, arrogante, elitaria. L’opacità dovrebbe essere un diritto della pittura. Per lo scrittore martinicano Éduard Glissant, l’opaco non è l’oscuro, “sebbene è possibile che sia tale ed accettato come tale. L’opaco è ciò che non può essere ridotto, che è la sua perenne garanzia di partecipazione e confluenza”. Glissant non amava il verbo “comprendere” che per lui rimandava ad un gesto di appropriazione e di chiusura, come le mani che acchiappano tutto per portarselo verso di sé. Glissant rivendicava così il diritto di ognuno all’opacità: il diritto di non essere compresi totalmente e di non poter comprendere gli altri, ossia non appropriarsene. Era questo il fondamento della sua “poetica della relazione”.

L’oggetto è forse il primo indice di relazionalità in pittura. Gli oggetti nei dipinti sono figure topologiche che creano spazio. La topologia è lo studio della geometria delle figure continue — figure che, al contrario della geometria piana, non sono costruite su traslazioni visive ma su permutazioni tattili. La topologia è la scienza dei nodi, dei legami, degli incroci, delle sovrapposizioni e trasbordamenti. Non ci sono corrispondenze fisse nello spazio topologico, ma solo una continua inversione dell’orientamento senza soluzione di continuità. Lo spazio topologico è ellittico più che circolare; reversibile, è sempre costituto dalla relazione tra due. La bilateralità potrebbe essere un’azione della pittura, il suo esercizio.

 Le forme organizzano relazioni interne non solo alle opere d’arte ma anche alla vita politica e i nostri tentativi di conoscere sia l’arte che la politica. La pittura potrebbe essere un esercizio interessante per imparare a trasformare l’esperienza del sé, non per ciò che si vede in pittura, ma per il modo in cui i dipinti ci permettono di vedere tutto il resto. Guardare la pittura richiede un’interazione corporea che va ben oltre la costruzione visiva di una prospettiva. Ci stai di fronte, fai un passo indietro. Pieghi un po’ la testa a sinistra; ti sporgi in avanti. Ci vai incontro, ti avvicini all’angolo destro del dipinto, il naso appiccicato alla cornice per vedere il bordo. Guardare un dipinto è anche un esercizio di relazione tra corpi e oggetti che crea uno spazio di azioni ed iterazioni connesse attraverso un ritmo. Da un punto di vista psichico, il ritmo, e non la rappresentazione, trasmette la condizione della pittura col corpo. Figurativa o astratta, il corpo della pittura produce sempre un fallimento del processo d’identificazione: i dipinti non hanno il diritto di rappresentarci.

 E se ignorassimo la rappresentazione e investissimo, invece, nelle energie dei ritmi assunti dai corpi che fanno o guardano la pittura? Entrambe le posizioni sono sempre in relazione di continuità nello spazio topologico della pittura, entrambe sono intrecciate nell’esercizio collettivo del ritmo delle forme. Il ritmo della linea, il ritmo dei rosa e dei grigi, ma anche il ritmo della compassione, il ritmo dell’ansia, il ritmo della simpatia, il ritmo della cura, il ritmo di “questa vita che vibra sempre tra lo stare meglio e il concepire qualcosa di ancora meglio; tra la soddisfazione in armonia e la brama della stessa. La vita il cui ritmo è quello della felicità reale e della felicità ideale, che si alternano sempre, per sempre spingendosi a vicenda nell’essere, come nell’arte di una fuga musicale, la dominante e la tonica. Essere, divenire; divenire, essere; idealizzare, realizzare; realizzare, idealizzare” (Vernon Lee, ‘Higher Harmonies’, 1909).

“Non chiedere e io non dirò. Che significa? Perché?

La ricerca di significato è legittima.

Capisco l'esigenza ormai costante di una spiegazione. Da un po’ di tempo mi sforzo, quando non capisco, di affidarmi e di fidarmi di elementi meno razionali per elaborare il senso e l'emozione che provo di fronte alle cose della vita, compresa l’arte.

Metto al centro la parte più emotiva e sentimentale, per me la più autentica e potente. Ancora più in questi tempi in cui le emozioni sembrano essere obsolete e fuori dal tempo.

Voglio essere libero dall'ossessione di riempire tutto di significati, significanti e motivazioni progettuali.

Non chiedere. Non sono contro questo o quello. E se dipingo un fiore è possibile che sia semplicemente un fiore, o no. Prova a sentire.”

 - Gioacchino Pontrelli

RASSEGNA STAMPA: ARTRIBUNE (INTERVISTA), ARTRIBUNE, EXIBART, PENSIERO MERIDIANO