NIX

SIMONE CAMETTI

OPENING GIOVEDì 26 OTTOBRE 2023
FINO A SABATO 10 GENNAIO 2024

 
 

NIX

DANIELA LANCIONI

Descrizione (quando, dove, come)
Da un paio di anni Cametti lavora al progetto Nix. Le riprese che si vedono nei due monitor risalgono al gennaio del 2023. Le ha girate nella cava alpina Lasa Marmi in Val Venosta, immerso nelle acque gelate che allagano le stanze e i saloni ricavati dall’estrazione del marmo, quando, durante la pausa natalizia, le pompe idrovore sono spente e 170 litri d’acqua al secondo sgorgano dal sottosuolo.
Il Lasa estratto dalla cava è un marmo ad alta concentrazione di carbonato di calcio, di un bianco intenso, quindi, con rare venature. Al video consegna acque di un azzurro cristallino e sulle sue pareti risaltano i graffiti fluorescenti che indicano le rotture in prossimità delle quali non è più possibile estrarre.
Da Lasa Marmi, Cametti si è fatto recapitare nel suo studio (a Roma) lastre di marmo di spessori diversi, levigate, ma non lucidate. Con gli attrezzi artigianali in suo possesso, le ha lavorate, carteggiandole e riducendole in lastre più piccole, rettangolari o quadrate, di diverse misure (una campionatura di quindici). Questi blocchetti di marmo, dagli spessori squadrati o sagomati, li ha resi dei piccoli quadri: ha eletto a “recto” una facciata e vi ha disegnato sopra con la grafite, accentuando o deviando il tracciato delle venature; li ha dipinti di giallo, di rosa, di arancione o di verde, degli stessi colori fluorescenti visti nella cava (usando un poliuretanico bicomponente steso a più velature con l’aerografo e proteggendolo con una vernice trasparente); infine, li ha predisposti per essere appesi a una parete.
Alle pareti ha anche appeso, capovolte, le fotografie scattate nella cava con una macchina digitale sulla quale ha montato vecchi obiettivi degli anni Cinquanta, una sperimentazione mirata non ad ammortizzare, ma a incrementare le aberrazioni cromatiche. Nelle immagini tutto è ammantato di uno stesso azzurro quello che è fuori e quello che è dentro l’acqua. Il sonoro, in parte registrato in parte rielaborato elettronicamente, lo ha lavorato con Sara Antonellis e Federico Landini.

Storia (qualche memoria condivisibile)
Giuseppe Penone che scava intorno alle venature del marmo e, arbitrariamente ma verosimilmente, ne apparenta il disegno a quello dei rivoli che innervano la materia animata.
Le sette fatiche di Ercole.
Ettore Spalletti che dava ai marmi il colore e la consistenza dell’aria.
Blinky Palermo per il quale bastava un piccolo rettangolo di tutto colore.
Mare rovesciato di Maurizio Mochetti, dove falso e contrario sono plausibili.
La fluorescenza dello stato di allerta nei salvagenti, nei nastri che delimitano la scena dell’incidente, nelle tute dei soccorritori e delle soccorritrici.
... cerco un’incrinatura... Georges Bataille.
Vita activa di Hannah Arendt.
Il vuoto della fisica quantistica pieno di accadimenti.

Riflessioni (le mie)
Cametti non avvia un lavoro cimentandosi con il rovello della pagina bianca, ma parte da uno spunto ricevuto da qualcosa che gli sta intorno (mai troppo vicina). Questo modo di procedere, oggi molto diffuso tra gli artisti, è certamente il frutto di irremeabili conquiste – essenzialmente la coscienza dell’individuo di partecipare a un tutto – ma non credo debba essere considerato l’unico possibile. È una scelta. Dopo averla individuata, mi interrogo sul luogo che ha attirato l’attenzione di Cametti, su come egli si sia posto in relazione ad esso e su quello che è scaturito da questa relazione.
In merito alle cave Lasa Marmi allagate, non trovo particolari appigli per poterne parlare in termini letterari, storici o sociologici (per intenderci non sono state meta di un grande poeta né scenario di tragedie umane). Posso lasciarmi stupire dalla loro bellezza e dalla singolare sfida che si crea tra l’intervento dei tecnici della cava e il respiro della cava stessa.
Il modo in cui Cametti si relaziona a questo luogo scoperto nelle sue (frequenti) esplorazioni in montagna è improntato a un impegno che ha richiesto molto tempo, competenze diverse e fatica. Tempo e fatica sebbene non congeniti, sono familiari all’arte, talvolta sono stati eletti, l’uno o l’altro, al rango di attributi essenziali. Qui, l’impegno che Simone Cametti ha riposto nell’opera, i rischi che ha assunto sulla sua persona durante le azioni e la fatica sostenuta non sono investiti di valori esemplari. È questo, forse, il tratto più segreto, speciale e commovente del suo lavoro: le azioni che compie nei luoghi prescelti non sembrano avere altro fine se non quello di entrare in relazione con un ambiente percepito come eccezionale e di intessere con esso un rapporto. L’impegno e la fatica, pertanto, rimangano impastati nel corpo dell’opera, sono necessari e proporzionati al contesto di partenza e a quanto da quel contesto è stato generato.
Il generato – quello che viene mostrato nella galleria, ossia il video, i piccoli quadri e le stampe fotografiche – non sono oggetti out of actions (per riprendere il titolo della fortunata mostra di Peter Schimmel al Museum of Contemporary Art di Los Angeles del 1998), ma tutte opere autonome e in più ascrivibili ai generi estetici tradizionali: pittura, fotografia, video. Da ciascuna di loro non ricevo un racconto definito o una morale, ma una serie di indizi che mi sembra stiano lì a suggerire, solo a suggerire, il senso del lavoro. Le osservo, come si guarda un segno tracciato su un foglio bianco e il senso che ne ricavo è solo immaginato.

Fantasie (quelle di Cametti forse o di Francesca Antonini, le mie, anche le vostre?)
Le venature che affiorano sulle lastre di marmo sono la prova di un’intrusione. Il carbonato di calcio del candido Lasa, in un tempo remoto, si è mischiato ad altro. Cametti ha rafforzato le vene con una materia scura ma volatile, la grafite. Ha rinunciato al bianco in purezza e con delicatezza gli ha preferito un’immagine. La percepiamo suggellata da un colore fluorescente.
I piccoli quadri fluorescenti investono le pareti della galleria di una temperatura incandescente, convocano uno stato euforico (eccitazione elettrica, cultura psichedelica, joie de vivre), ma lanciano anche l’allarme del limite invalicabile (il pericolo che abbiamo imparato a conoscere e che segna la postura delle ultime generazioni).
Le acque azzurre delle riprese delimitano il luogo prescelto. Solo raramente la camera affiora da quel liquido che ancestrali memorie identificano con lo stato supremo e insuperabile del piacere.
Nelle fotografie, dentro o fuori dell’acqua, la luce ha la medesima rifrazione, il capovolgimento, pertanto, non è facilmente percepibile e il capovolto è del tutto plausibile. Il sottosopra – eclissato, ma sotto i nostri occhi – ha la potenza di uno svelamento. Avverto un senso di comune appartenenza. L’azzurro è rasserenante.
Un’azione ha creato il vuoto (la cava, che Cametti trasla nel niente del dialetto altoatesino, nix per nichts) e il vuoto è stato colmato dall’acqua. La stessa azione ha creato anche delle fragilità, dei punti di rottura.
Pitture, video e fotografie sono stati generati da quel vuoto e da quelle ferite.
Pitture, video e fotografie sono stati generati da un’azione compiuta perché, semplicemente, bisogna vivere, indagare la propria identità, rivendicare la propria libertà, unire e discernere, reagire e assecondare, temere e amare, e così via.

RASSEGNA STAMPA

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