‘VERDE TEVERE’
ALESSANDRA GIOVANNONI

OPENING THURSDAY SEPTEMBER 17, 2020
UNTIL OCTOBER 17, 2020

 
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Verde Tevere

SAVERIO VERINI

Due cose mi hanno sempre colpito nei dipinti di Alessandra Giovannoni: la temperatura (pare di sentirla, soprattutto in certe visioni afose di via Salaria o piazza San Giovanni in Laterano) e il fatto che non sembra di trovarsi a Roma. Talvolta più simile a un’ipotetica Marrakech, la Roma di Alessandra Giovannoni ha qualcosa di esotico; e mi sembra di poter dire che la Città Eterna, per l’artista, sia sempre stata il pretesto per esplorazioni “salgariane”, come se andasse alla ricerca di un altrove, rimanendo tuttavia in un luogo conosciuto, a portata di passeggiata.

Da un po’ di tempo a questa parte, la Giovannoni torrida – quella delle grandi piazze o delle vie assolate: quella più conosciuta – ha lasciato spazio a una versione meno luminosa. Uno sguardo inedito in cui l’ombra si è sostituita alla luce, generando un’escursione termica non indifferente. Verde Tevere, come lascia intendere il titolo della mostra, si concentra su una Roma appartata, per certi versi sommersa: quella che si snoda lungo i muraglioni del Tevere, al cui progetto si iniziò a pensare dopo una storica piena del fiume alla fine del 1870. Di recente, a distanza di non so quanti anni dalla prima volta, mi è capitato di camminare lungo quel tratto, e in effetti mi sono reso conto dell’unicità di quel luogo nella geografia di Roma. Alessandra Giovannoni ne ha saputo trarre ancora una volta un’immagine densa di esotismo: una selva, una foresta pluviale dominata dal verde, nella quale l’artista pare essersi fatta largo non con un machete, ma con delle pennellate che, di volta in volta, formano intrecci di vegetazione o squarci che, lasciando intravedere il paesaggio circostante, fanno filtrare una garbata luminosità. Si diceva della temperatura canicolare delle opere di Alessandra Giovannoni: in questa serie, realizzata tra 2019 e 2020, sembra invece che la penombra offra un riparo, una protezione non soltanto dai raggi solari, ma anche dalla vastità quasi sfiancante delle precedenti vedute dell’Urbe. Un ciclo, quello presentato in occasione della mostra, in cui trova spazio un respiro più intimo, di pari passo con dei toni meno squillanti rispetto alla paletta cromatica cui l’artista ci ha abituato: e così anche il Tevere cambia colore, trasformandosi da biondo in verde e tradendo così l’appellativo con il quale fin dall’antichità è conosciuto – “biondo”, appunto –, a causa (si pensa) delle sue acque mescolate a sabbia, che tendevano a un colore giallognolo.

Come una vegetazione spontanea, il verde sembra infestare gli ultimi dipinti di Alessandra Giovannoni, senza risparmiare nulla. Non solo foglie, piante e alberi, ma anche il fiume stesso, gli scampoli di cielo, persino i rari indizi di architetture (tra cui una meravigliosa veduta della “pancia” di Ponte Risorgimento). E, a proposito di punti di vista, lo sguardo adottato è costantemente abbassato, dimesso, laterale: come spesso accade nelle sue opere, Giovannoni fa emergere una Roma colta di spalle, che non sa di essere guardata o che non ha fatto in tempo a mettersi in posa. Mi piace pensare a un atto voyeuristico – di chi spia, consapevole di poter essere sorpreso in qualsiasi momento – quando immagino l’artista intenta a tracciare dal vivo i veloci appunti visivi che diventano poi il punto di partenza per la realizzazione dei dipinti: linee sintetiche, quasi astratte, raccolte in minuscoli taccuini (in realtà dei semplici blocchetti numerati) e successivamente tradotte in opere di grande formato. Si tratta di un processo differito nel quale la memoria – una memoria emotiva, aggiungerei – ha un ruolo decisivo: l’immediatezza dell’en plein air – unita all’esperienza diretta del paesaggio, scandita da lunghe passeggiate – trova proprio al riparo dello studio una sua ulteriore definizione, una messa a punto. Uno studio che, alla stessa maniera delle opere, negli ultimi mesi si è tinto di verde, con cavalletti, ciotole, barattoli e pennelli impastati in un tonalismo più che mai tangibile.

Sono questi particolari a suggerire come la lettura del lavoro di Alessandra Giovannoni passi inevitabilmente anche per il confronto con il rigore della sua pratica pittorica, coltivata nel corso di una vita intera. A tratti ottocentesca nel formato e in una certa tendenza all’orizzontalità – un andamento che consente all’immagine di stendersi sulla superficie come un corpo che si sdraia –, la pittura dell’artista si fonda su un segno rapido e insieme sicuro, su grumi di colore, gocciolature, ripensamenti: una grammatica di elementi decisamente riconoscibili – una pittura che gronda pittura – che sa tuttavia trovare momenti di maggiore leggerezza e lirismo negli acquerelli – nella loro liquidità, nella densità attenuata –, anch’essi presenti in mostra e in grado di formare un corpus del tutto autonomo che non teme il confronto con i dipinti a olio.

Dalle strade inondate dal sole alla riva del fiume: con Verde Tevere Alessandra Giovannoni si è immersa in una dimensione ambientale e cromatica avvolgente, lasciando che gli schizzi di questo tuffo ci arrivassero dritti agli occhi. Una mostra che segna un capitolo inedito del rapporto viscerale tra Roma e un’artista da sempre impegnata nell’avventurosa esplorazione di una consuetudine.


PRESS REVIEW: LA REPUBBLICA, ARTRIBUNE