L’animale più silenzioso del mondo

FRANCESCO CASATI

OPENING MERCOLEDì 31 MAGGIO 2023
FINO A SABATO 14 OTTOBRE 2023

 
 

L’animale più silenzioso del mondo

Edoardo Monti

Nell’universo di Francesco Casati (Verona,1990) ci troviamo sopra una giostra fatta d’aria e di luce. Come il silenzio sta alla musica, così lo spazio sospeso sta alle figure protagoniste in dipinti e disegni: senza di esso non ci sarebbe armonia. Riusciamo invece a godere dei soggetti raffigurati, dello spazio che li avvolge, grazie ad un delicato equilibrio che trascende la concezione di tempo.

Gradualità, rapporti di coppia, fluttuare: i punti di partenza della ricerca di Casati, sempre intrisi di elementi ironici, che trovano origine in pensieri e ragionamenti scaturiti dall’ascolto e dall’osservazione di aspetti sociali, rielaborati a mente fredda di fronte ad un taccuino o a una tela ancora nuda. Una prima fase del processo di auto-interrogazione parte da bozzetti e disegni, un linguaggio che l’artista conosce bene e con cui ha meno timore di parlare.

Riversa su diari elaborazioni intime, alle volte guidate dall’esigenza di impiegare un colore in particolare. Colore che passa poi oltre al disegno, prende forma sulla tela, si trasforma in un pattern accennato ma presente, che ora nasce e si completa senza l’ausilio di immagini di referenza, ora si sviluppa su reminiscenze visive legate al passato e alla memoria personale. Non si tratta di una ricerca come unico punto di partenza, ma piuttosto si cela l’intento di rendere un’impressione tattile, dare l’opportunità di toccare qualcosa solo guardandolo. Talvolta un disegno diventa un disegno e poi un altro ancora, fino a raggiungere un senso compiuto, a sé stante o come punto di partenza per le sue tele, che ultimamente stanno diventando sempre più grandi: una sfida auto-imposta, nel tentativo di uscire dalla propria zona di comfort. 

Casati crea e dirige un suo tempo, donandolo ai soggetti che popolano i dipinti. L’impiego contemporaneo di colori ad olio e acrilico si trasforma in uno strumento con il quale scandisce momenti, sospende i secondi, comprime lo spazio che è inscindibile dal tempo stesso. Siamo attratti da un ricordo, dal passaggio di un’immagine che l’artista decide come e quando mostrare, coprire, far transitare, depositare, fluttuare, percorrere. I soggetti hanno meno presenza scenica, sono intrisi di esistenza spaziale più che dettagliata. Non manca l’immagine, anzi riusciamo a percepire un senso di partecipazione attraverso l’assenza dei dettagli, la velatura, vari stadi di qualcuno o qualcosa che si manifestano in momenti diversi della loro esistenza.

Pur trattandosi di lavori ispirati da temi sociali, che Casati vive, sente, discute, legge, che si depositano e riemergono durante l’atto del disegno, non lo manifestano chiaramente.

Siamo dinanzi a delle maschere, che molto spesso prendono in prestito elementi figurativi appartenenti al mondo animalesco. L’animale e l’umano si fondono in una maschera, un tramite, svolgono un’azione indipendentemente dal fatto che essi siano privi o carichi di sentimenti. La simbologia entra in scena non con fermezza, per imporre una risposta, ma anzi per suscitare più domande e per invitarci a partecipare al dialogo.

Esiste un microcosmo che appartiene a ciascuno dei lavori, ma c’è qualcosa che li fa appartenere ad un macrocosmo condiviso. Uno spettacolo più grande, la vita, l’allegoria: una commedia di condivisione, dove tuttavia la profondità di ciascun personaggio è tale per cui  può essere analizzata in profondità, celebrata e presentata indipendentemente. Non si tratta di comparse ma di protagonisti, mini biografie visive che compongono la storia di un periodo comune. Piccoli grandi racconti che fanno parte di un unico puzzle, senza sottrarre potere al singolo elemento teatrale. Questi protagonisti, soggetti-oggetti, non esistono in una linea temporale definita, ma in un tempo a sé: sono parole all’interno di una poesia collettiva, esistono per dirci che il tempo c’è e passa, assecondano un movimento che esce dalla figurazione, giochiamo con immagini rievocative. Si crea un legame inscindibile tra ragionamento e narrazione e privazione, volto a farci leggere qualcosa in più al superficiale.

L’incertezza, veicolata dall’assenza di basi solide su cui queste figure poggiano, è per Casati indispensabile per non dare punti fissi che possono solo limitarci. Galleggiano per non affermare ma piuttosto per mostrare un quesito, lasciare possibilità. Forniscono dei temi, delle situazioni, delle frecce lanciate. Permettono il tempo, all’artista come allo spettatore, per rielaborare. È una responsabilità che si assumono i soggetti presenti e, tramite di essi, l’artista: è indispensabile non avere troppe certezze per non chiudere troppe porte, ma lasciarle socchiuse.

Particolarmente importante, finale ma non finalizzante, è il processo di stesura dei titoli delle opere. Francesco Casati non si ispira ad un linguaggio fatto di parole, bensì di immagini, per non vincolarci troppo ad una singola interpretazione, prediligendo invece una libertà visiva e atemporale. Tramite il linguaggio, si sceglie attivamente quale aspetto mostrare, utilizzando parole per offrire una chiave di lettura e scegliere una direzione che rimane non vincolante. Con il testo siamo aiutati a tirare delle somme su quello che l’immagine lascia aperto, rimanendo tuttavia liberi.

Impariamo a sottrarre le maschere-soggetti alla serialità a cui appartengono, dotarle di un’individualità a partire dalle loro qualità formali, siamo condotti attraverso un percorso meditato, viene teatralizzato l’incontro del soggetto con il pubblico: questi i princìpi comuni che popolano il tempo-spazio di Casati.