IL CONFINE DEL MONDO ABITATO
OXANA TREGUBOVA
OPENING GIOVEDì 17 OTTOBRE 2024
FINO A SABATO 11 GENNAIO 2025












IL CONFINE DEL MONDO ABITATO
EDOARDO MONTI
Le radici della ricerca di Oxana Tregubova (Cernivci, Russia, 1990) sono strettamente legate al fenomeno dell'icona, alle sue soluzioni formali e al loro contenuto. Le interessa il potere espressivo degli sfondi tonali monocromatici o colorati, e la loro forma. Nel loro insieme, costituiscono spazi convenzionali che diventano più reali della realtà, poiché non cercano di imitarla e di crearne un'illusione, ma ne costituiscono una nuova, autosufficiente, che richiama quella autentica e ne rivela la natura, pur rimanendo indipendente.
“Il confine del mondo abitato”, la prima mostra personale dell’artista in galleria, presenta una serie di opere inedite: olio, acrilico, inchiostro e collage dialogano coi supporti di tela o carta, accompagnandoci nell’universo romanticamente inquieto di Oxana.
Mi piace dedicare parte del testo alla tecnica e al metodo costruttivo delle opere in mostra. Come in cucina la lista degli ingredienti e la ricetta anticipano dettagli esecutivi e commenti critici, così per Oxana la descrizione degli step produttivi è propedeutica alla comprensione e apprezzamento del contenuto che essi veicolano.
A poche decine di metri dall’Italia, nel nuovo studio svizzero a Chiasso, si trovano molte vasche con vecchi strati di colori ad olio ormai asciutti. È in esse che prende inizio la lavorazione delle tele e delle carte, immerse in soluzioni oleose e colorate, diluite e rese più fluide dalla trementina. Nascono forme spontanee, parzialmente fuori controllo, che si trasferiscono sul materiale poroso di cotone e vengono poi fissate con del gesso trasparente, diventando così a loro volta una tela vergine su cui l’artista stende il primo colore, il nero. Oxana scolpisce lo sfondo della tela con uno strato di acrilico, che getta le basi per la realizzazione di uno dei piani dell’inquadratura finale, ricercando e creando forme e dimensioni. L'uso di inchiostri aggiunge ulteriore profondità, come in un collage che stratifica spazio e immagine. Successivamente, frammenti fotocopiati di libri e riviste vengono ritagliati e trasferiti sulla tela; rimuovendo la carta con l’ausilio di acqua, si imprimono immagini in negativo. L’artista dà vita ad una metafora visiva: come un poeta che vede nei campi di grano i capelli di una ragazza mossi dal vento, così l'artista materializza questa immagine, concretizzando pensieri e analogie. Ancora, le pietre che adornano uno stagno sono realizzate con ritagli di fotografie della Terra da un aeroplano; i petali di un fiore vengono arricchiti da immagini esistenti di cui si è persa ogni traccia. La tecnica è stata fortemente influenzata da tarsie marmoree viste a Firenze, dove ha vissuto per otto anni, e dalle
“pietre paesine”, formazioni di calcare e argilla che nascondono al loro interno motivi che sembrano paesaggi e skyline di città. L’ultimo gesto, delicato ma potente, prevede l’applicazione di un vellutato e profondo nero assoluto, le cui proprietà sono simili a quelle del Vantablack: lo sfondo assume il ruolo di incipit e conclusione dell’atto pittorico, generando tridimensionalità e creando un terzo piano visivo.
Alcune opere presentano elementi figurativi, altre raffigurano piante. I personaggi si fondono con la natura: uno si perde tra i campi, un altro s'immerge nell'acqua, altri abbracciano una roccia e dormono a contatto con la terra. I dettagli sono rifiniti con l'aerografo, utilizzando inchiostri, acrilico e olio. Questi lavori sono incorniciati, come a ricordare il rapporto contenitivo dell’Uomo con la natura; i lavori che rappresentano la natura rimangono senza cornice, e permettono a steli e petali di espandersi fino ai bordi delle tele stesse. Il bianco delle figure umane evoca universalità e una qualità scultorea, richiamando la purezza della pietra calcarea. L'artista, che in passato ha lavorato con il marmo, celebra l’atto della scultura, ricordandoci che scolpire non è altro che disegnare con la luce. Viene rimosso il colore della pelle, che carica la forma di altri sensi, rappresentata invece nella sua purezza.
Oxana esplora il dualismo tra controllo e casualità. Caos e astrazione emergono nelle fasi iniziali, ma vengono poi ricondotti ad una forma precisa. Questo gioco tra caso e intenzionalità crea una dinamica unica: a livello macroscopico prevale un ordine composto, a livello microscopico percepiamo l’abbandono all’eventualità.
Il titolo della mostra è tratto dal poema "Worpswede" di Rainer Maria Rilke, e riflette la preoccupazione dell’artista per il periodo storico attuale. Negli ultimi due anni, l'artista ha cercato di comprendere la propria posizione rispetto alla distruzione che sta avvenendo nel mondo. La sua risposta è quella di coltivare giardini, opporsi alla distruzione creando bellezza e portando valori positivi. Il "confine del mondo abitato" rappresenta il rischio di perdere tutto; tuttavia, anche nel nero più profondo c'è ancora la possibilità che cresca un fiore, che l'uomo continui a prendersi cura della Natura, e della propria natura interiore. Allo stesso tempo, il nero dona profondità alle figure, senza il quale esse perderebbero dimensione. Questo sguardo verso l'orizzonte richiama l'infinito, permettendo di riflettere su sé stessi, e mostrando come l’arte non possa mai essere totalmente chiara o definitiva.