COME IN UN GIARDINO
SIMONE CAMETTI, MONICA CAROCCI, FRANCESCO CASATI, RUDY CREMONINI, ALICE FALORETTI, ALESSANDRA GIOVANNONI, MARTA NATURALE, ENRICO TEALDI, OXANA TREGUBOVA
OPENING GIOVEDì 23 maGGIo 2024
FINO A VENERDì 26 LUGLIO 2024








Come in un giardino
federica terone
A differenza delle sue simili, che talvolta sembrano non reagire in alcun modo agli stimoli esterni - quasi fino a sembrare inerti o disinteressate - c’è una pianta che possiede la straordinaria abilità di rispondere al pericolo. Curvandosi se toccata o quando arriva la notte, in un modo che rimanda all’attività intenzionale degli animali, la Mimosa Pudica non smette di generare stupore e meraviglia.
Da tempi lontani, l’uomo ha sentito la necessità di categorizzare ogni forma di vita biologica, incasellandola in specifici gruppi a seconda delle singole peculiari caratteristiche e, soprattutto, creando una netta separazione tra il regno animale e quello vegetale.
Mimosa pudica è stata in grado di creare un ponte di collegamento tra i due, reso ancora più solido da un esperimento condotto nel 2011 da Monica Gagliano e Stefano Mancuso (1) : facendo cadere più e più volte alcune piantine da un’altezza prestabilita di 15 centimetri e provocando un riflesso istintivo (ovvero la rapida chiusura delle foglie) gli studiosi hanno provato che quella che appariva inizialmente come una minaccia, dopo svariate sessioni diventò un’esperienza innocua, in cui non era più necessario chiudersi per proteggersi dai danni. Ben in grado di ignorare la caduta, le piccole piante dimostravano di saperla e poterla ricordare, dunque di non percepirla più come un pericolo reale.
Se in passato si riteneva che le piante potessero rispondere solo nelle modalità programmate inscritte nel proprio DNA, si scoprì che il loro comportamento, invece, era appreso.
Questo esempio è solo uno dei tanti che ribalta la gerarchia che abbiamo costruito nel corso dei secoli, in cui - relegate ai ranghi inferiori - abbiamo reputato le piante esseri privi di soggettività, intelligenza e volontà. È necessario abbandonare il dilagante approccio riduzionista per imparare finalmente ad apprendere tutto ciò che la peculiare complessità del mondo vegetale può insegnarci.
Come in un giardino si fonda proprio su questo presupposto: accogliere modelli innovativi, in cui anche ciò che non è visibile ha un ruolo primario.
Se, infatti, “la nostra idea di pianta è sempre stata di qualcosa che spunta dal terreno, come per miracolo, e si eleva verso l’alto” (2) è importante non trascurare ciò che gli scienziati definiscono the hidden part. È, infatti, proprio nel sottosuolo che avviene la maggior parte degli scambi, qui acqua e nutrienti vengono assorbiti e le radici si fanno strumento di comunicazione, scambio e riproduzione:un apparato estremamente complesso.
Più in generale, a differenza degli animali, che sono dotati di organi (singoli o doppi) specializzati, le piante sono organismi che sanno distribuire sull’intero corpo le proprie funzioni.
Come in un giardino è un invito a stabilire un nuovo legame con il verde: dai tempi dei tempi le piante sono la nostra casa, solo di recente ce ne siamo distaccati e questo allontanamento non è stato privo di conseguenze. I lavori in mostra - nove, uno per ogni artista invitato ad esplorare ed approfondire il rapporto uomo-natura - sono un’opportunità per approfondire le singole ricerche e al contempo generare dialoghi inattesi.
1 Monica Gagliano, Così parlò la pianta. Un viaggio straordinario tra scoperte scientifiche e incontri personali con le piante, Edizioni Nottetempo, Milano 2023 2 Stefano Mancuso, Botanica. Viaggio nell’universo vegetale, Aboca Edizioni, Sansepolcro (AR) 2021, p.55
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Rudy Cremonini (Bologna, 1981) si riferisce spesso ai propri lavori utilizzando il termine ‘protezione’. Con un pezzo di Battisti, per l’appunto, lascia intravedere, dietro le grate di un cancello, una natura cittadina, tipica dei parchi che si trovano nelle nostre grandi città. Lo sguardo dello spettatore guarda dall’esterno verso un interno tutto da immaginare, che lascia vedere solo parzialmente un certo verde erboso che può ricordare le giornate piovose. Il verde del fogliame si fonde con le grate, in un insieme di forme sfatte che si amalgamano le une con le altre.
I lavori di Enrico Tealdi (Cuneo, 1976) mostrano delle atmosfere sognanti. L’artista ritrae luoghi ameni che traspone in contesti senza tempo. Ogni elemento reale viene reinterpretato in chiave fortemente evocativa per realizzare immagini evanescenti, nuclei coesi di forme rarefatte e contorni sfumati, resi con tinte polverose. Con maestria e delicatezza viene descritta una natura esteticamente bella - seppur sfatta - pacifica e benevola. Se la figura umana completa sovente i suoi paesaggi in punta di piedi (a suggellare la ritrovata unione uomo-natura) nel dipinto è assente, per lasciare al paesaggio il ruolo di unico protagonista.
Il lavoro di Alessandra Giovannoni (Roma, 1954) ci restituisce delle vedute di Roma, in cui il rapporto fra natura e assetto urbano è imprescindibile. I suoi dipinti sono il frutto di una diretta esperienza del paesaggio - scandita da frequenti e lunghe passeggiate - in un processo di continua osservazione del reale. Nel suo attraversare la città, la Giovannoni registra annotazioni ed appunti visivi che traduce poi in pittura. Il Pincio descrive una piccola porzione soleggiata di Villa Borghese, a fianco alla fontana del Mosè, i cui elementi sono costruiti grazie a un uso sapiente di luci ed ombre, dove l’uomo è una presenza silenziosa.
Alice Faloretti (Brescia, 1992) non ha mai dipinto nulla che non fosse natura. I suoi lavori mostrano spazi primordiali e inesplorati: foreste e grotte, spesso ostili e insidiose, in grado di incutere timore. Spunti realistici e istanze di ordine fantastico coesistono: il paesaggio dipinto non esiste in sé ma è frutto della combinazione di episodi iconografici differenti, tratti dai luoghi più diversi. Elementi visivi vegetali enigmatici e stranianti, sovente resi in maniera cromaticamente anti-naturalistica, sono gli strumenti che Faloretti utilizza per esprimere un tipo di relazione conflittuale fra elementi naturali e presenza antropica.
La ricerca artistica di Oxana Tregubova (Russia, 1990) si ispira alla storia del giardino dell'Eden. L’Eden è stato la prima casa dell’uomo, il luogo del suo primo incontro con la natura. Una natura vergine, oasi di forme e colori, dove la vegetazione è libera di crescere senza che l’uomo la strumentalizzi. L’omonima serie rievoca la simbologia del giardino biblico, quando l'uomo sapeva ancora apprezzare la sacralità del creato. Hortus conclusus celebra il giardino come luogo di consolazione fisica e spirituale, al cui interno l’uomo compie con cura, amore e attenzione tutti quei piccoli gesti necessari a far crescere una pianta.
Lo scatto di Monica Carocci (Roma, 1966), che ritrae la campagna di Copenhagen, ha immortalato una scena di convivialità quotidiana: tre donne chiacchierano mentre prendono il sole, circondate da una natura accogliente e pacifica. Nell’immagine l’aspetto della vegetazione viene trasformato da ripetuti interventi compiuti dall’artista in camera oscura, direttamente sul negativo. L’utilizzo privilegiato dell’analogico - elemento distintivo della sua fotografia - e le continue modifiche apportate all’immagine con bagni nell’acido, abrasioni e strappature, conferiscono alla vegetazione danese un aspetto anti-naturalistico.
Marta Naturale (Mirano, 1990) è solita dipingere delle ‘nature urbane’: piccoli angoli di quotidianità gestiti nella forma della mano dell’uomo. Esplorando gli spazi a lei più prossimi l’artista ritrae il confine fra natura e artificio. Secondo un esercizio meticoloso e maniacale il fogliame e le ramificazioni arboree sono rese in maniera puntuale. Il rapporto fra la natura e lo spazio antropico è un elemento d’indagine a lei caro. Esso passa attraverso la connotazione simbolica che l’uomo proietta sulla natura. Al cipresso l’uomo ha voluto associare il passaggio fra la vita e la morte. Così facendo lo ha trasformato in emblema di spiritualità e trascendenza e per questo lo pianta accanto ai cimiteri, per permettere ai suoi cari di ‘vivere in eterno’.
Gran parte della poetica di Simone Cametti (Roma, 1982) passa attraverso delle azioni compiute a diretto contatto con la natura, muovendosi e performando al suo interno. Per realizzare Redshift l’artista, ritrovatosi durante la notte tra le montagne, ha sparato in aria dei razzi da imbarcazione, che hanno colorato di rosso le fronde degli alberi circostanti. Questo lavoro porta avanti gli studi condotti ormai da tempo sulla luce: i razzi - e l’azione che l’artista compie lanciandoli - diventano il sistema di propulsione della stessa, illuminando una porzione di vegetazione altrimenti non visibile. Un perfetto gioco di cooperazione uomo-natura.
Francesco Casati (Verona, 1990) utilizza la pittura per dar vita ad un immaginario sospeso tra realtà e finzione. I soggetti ricorrenti dei suoi dipinti, sfumati nelle sembianze e calati in atmosfere rarefatte, si dispongono in pose che oscillano tra equilibrio e disequilibrio. Floralia ritrae una giovane donna, in una posa tanto espressiva quanto stravagante, che fluttua in uno spazio interamente formato da fantasie decorative che rimandano al mondo vegetale. La ragazza sfoggia una capigliatura variopinta composta da diverse varietà di fiori, dai colori e dalle forme molteplici: simbolo di natura prolifica, che si espande indisturbata nello spazio.